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il modo più facile per stare bene

Il Fiore dai Mille Colori che dona Felicità

Nel Regno delle Fate tutti vivevano felici e contenti sempre.
Non esisteva l’invidia e tutti erano sempre gentili e generosi l’uno con l’altro. Nessuno si arrabbiava e si trovava sempre il modo di risolvere i problemi con saggezza e omprensione.
Il segreto del Regno delle Fate era un bellissimo Fiore dai Mille Colori, un fiore magico che aveva il potere di trasmettere la felicità a tutti. Come questo Fiore Fatato era sano e bene aperto infatti, esso emanava tutta la sua fragranza e il suo potere che dava un senso di gioia grandissima in tutti.

Un giorno però successe che tutti gli abitanti del regno delle fate, chi più e chi meno, cominciarono a diventare tristi, o irrequieti, o persino arrabbiati. Non si capiva cosa li avesse resi così, ma l’infelicità si stava diffondendo nel Regno.
La Regina delle Fate era preoccupatissima e non capiva quale potesse essere la causa di tale improvviso cambiamento, “Dopotutto il Fiore Fatato era curato con amore e dedizione da affidatissime fate-assistenti” disse fra sé e sé. Andò personalmente a vedere come stava il Fiore e – ahimè – il Fiore aveva chiuso i suoi petali e stava pure appassendo! Le fate-assistenti erano lì, vicino al Fiore, facendo del loro meglio per farlo rinvenire, ma a nulla servivano i loro tentativi.
Dopo averle interrogate un po’, alla fine la Regina scoprì che le fate-assistenti non erano state così dedicate come dovevano essere. Siccome il Fiore Fatato stava sempre bene e visto che dopotutto era un Fiore magico, pensavano che non avesse bisogno di così tante cure e quindi lo avevano un po’ trascurato, «Ma solo un po’!» si affrettarono a dire tutte in coro. In qualche modo, quindi, il Fiore si era  ammalato e stava perdendo il suo potere.
Come fare? Bisognava assolutamente trovare un rimedio!
Così la Regina decise di mandare le sei fate-assistenti in giro per il mondo per trovare un rimedio per salvare il Fiore Fatato, e in questo modo anche il Regno delle Fate. Tutte loro si avviarono in diverse direzioni alla ricerca di una soluzione.

Una delle fatine, la più piccina, era proprio come una bambina: si chiamava Muladara ed era sempre allegra e spensierata. Non c’era davvero niente che potesse renderla triste – nemmeno per un momento! – perché lei sapeva vedere la bellezza in tutto ciò che la circondava.
Lungo il cammino, vide un papaverello sdraiato a terra tutto mogio mogio, quasi in fin di vita: “Qualcuno doveva averlo calpestato e lasciato lì a morire” pensò Muladara. Così decise di prendersene cura, dandogli dell’acqua, cercando di portar su il busto e sostenerlo al meglio, dando una sistematina ai suoi petali con uno dei portentosi unguenti che aveva sempre con sé.
E infine il papaverello si riprese. Era un fiore piccolo e delicato, ma nella sua semplicità era davvero bello.
“Ecco” pensò Mooladhara  “la semplicità potrebbe essere il rimedio per salvare il Fiore”. Entusiasta della sua scoperta, tornò subito nel Regno per riferire la sua scoperta.

Nel frattempo, un’altra fatina stava vagando in un’altra parte del mondo. Lei si chiamava Svadistana ed era una tipa ingegnosa e creativa. Di ogni cosa, non si accontentava di osservarla, doveva capirne sempre il funzionamento. E poi sapeva anche disegnare molto bene e si divertiva a ritrarre tutti le cose che le capitavano.
Si era appunto fermata vicino ad un meraviglioso campo di girasoli, così gialli e così grandi, da suscitarle una profonda ammirazione (bisogna ricordare che le fate sono molto piccole, anche se grazie alle loro alucce possono volare in alto e vedere anche le cose più grandi); ed era lì intenta a ritrarre quei giganti, quando ad un certo punto le venne in mente un’idea: “Ma non è, per caso, che il rimedio potrebbe essere l’ingegno? Guarda questi fiori come si ingegnano per vivere, che dal mattino alla sera sono lì a cambiare posizione per prendere tutti i raggi del sole possibili! Eh sì, il rimedio non può essere altro che l‘ingegno“. E fu così che pure Svadistana, tutta soddisfatta, tornò velocemente verso casa.

Nabi, la nostra terza fatina, a dire il vero, non si era ancora mossa da casa. Lei adorava la vita casalinga. Era sempre tranquilla e serena; amava decorare la sua casetta in mille modi diversi, preparare dei buonissimi dolcetti da offrire alle sue amiche e prendersi cura del suo meraviglioso giardino. Eh sì, il suo giardino era davvero bello, il più bello del villaggio, perché lei lo curava benissimo; come si suol dire: aveva proprio il pollice verde!
Ed è per questo che non si era ancora mossa, prima aveva infatti bisogno di sistemare tutte le sue piante bene bene, in modo che non soffrissero per la sua assenza. La sua cura per le casa, per le piante, per le cose in generale, era proprio un’arte che dava tanta gioia e armonia, non solo a lei ma anche a coloro che l’andavano a trovare.
Così, mentre era lì che stava quasi per finire di sistemare le sue piante, si chiese se non potesse essere proprio quell’armonia, data dalla cura che diamo a tutto ciò che ci circonda, il rimedio per aiutare il Fiore Fatato. Anche lei si diresse allora verso il Palazzo della Regina per riferire quanto aveva scoperto.

Anahata, impavida ed audace avventuriera, era davvero entusiasta per la missione affidatale. Lei prendeva davvero seriamente ogni compito che le davano: ci teneva sempre a fare del suo meglio ed a sentirsi utile. Aveva molta fiducia in sé e nel prossimo e… quindi anche nel fatto che sarebbe riuscita a trovare una soluzione al problema.
Però, cammina cammina, cerca qua cerca là, non le riusciva proprio di trovare nulla. Stanca e avvilita, si sedette su una roccia e si mise a guardare il paesaggio lasciando volar via ogni pensiero di sconforto. Ad un certo punto, cominciò a guardarsi attorno e notò che proprio vicino a lei, da una fessurina nella roccia un fiorellino spuntava allegramente. “Bellino”, pensò “ma come fa a vivere così, nel bel mezzo di una roccia? Com’è forte e tenace!” “Ma sì”, pensò subito dopo “certamente sono la forza e la tenacia interiori il rimedio per il nostro problema!” E così si affrettò a tornare a casa anche lei.

La nostra quinta fatina, Visciuddi, era la più socievole di tutte. Faceva amicizia con tutti ed era un gran chiacchierona. A suo dire era anche timida, ma ancora nessuno se n’era mai accorto… Indubbiamente, era una fatina molto dolce e sapeva trovare sempre la parola giusta per far sentire bene gli altri. Cionondimeno era sincera, non diceva mai bugie, perché credeva che dire la verità le rendeva la vita semplice: non doveva mai sforzarsi di ricordare una cosa inventata e di dover nascondere niente.
Comunque, ritornando alla missione, il suo viaggio si prospettava davvero lungo, perché si fermava ogni dove a parlare con chiunque le capitava. Tempestava tutti di domande e li  rendeva partecipi del proprio dilemma: “Trovare una cura per il Fiore Fatato”. “Chi lo sa?” pensava “magari qualcuno ha una buona idea! Tentar non nuoce!”
Parla parla, parla parla, indubbiamente si stava divertendo un mondo, ma il tempo passava e non ne veniva fuori niente.
Ad un certo punto, quando era lì lì per avvicinare un altro passante, udì un suono melodioso provenire da lontano; il suono diventava sempre più forte e la sua melodia si poteva sentire sempre meglio. Era di sicuro un flauto, forse un flauto magico, perché a quel punto Visciuddi non si sentiva più di parlare (eh sì, il flauto doveva essere proprio magico!), ma solo di rimanere in silenzio ad ascoltare quella stupenda musica. Non solo lei, ma pareva che anche tutti gli altri fossero rapiti da quella armoniosa melodia.
Fu così che Visciuddi pensò che dovesse essere proprio la musica, il suono melodioso la soluzione al problema. Salì rapida in volto e volò verso casa.

Finalmente arriviamo alla nostra sesta fatina, Aghia. Aghia era un’intellettuale. Lei sapeva tante cose, aveva letto tanti libri e sembrava avere risposte per tutto. Per cui pensò bene che non fosse necessario andarsene in giro per il mondo, quando poteva benissimo consultare i testi della vastissima bibliateca del Palazzo Reale. Che poi lei li conosceva tutti… beh, quasi tutti; infatti le fatine possono vivere molto più a lungo degli esseri umani (anche duecento, trecento anni, pure di più), per cui hanno tanto tempo per imparare tante cose: è per questo che sono riuscite ad imparare tutti i segreti delle piante ed anche un po’ di magia.
Aghia si orientò subito verso la sezione Fiori e poi malattie e cominciò a cercare fra tutti i libri che c’erano.
Cerca cerca, trova trova, in effetti ognuno le suggeriva delle idee, davvero belle idee, ognuna diversa dall’altra, ma erano talmente che – mammamia! – non sapeva più cosa pensare. Qual era quella giusta?
Era talmente impegnata nelle letture che non si rese conto che si era fatta notte. La luce fioca del lumino le aveva stancato la vista. Per cui Aghia, si sedette su una comoda poltroncina e rimase con gli occhi chiusi, in silenzio. Cercava il silenzio anche nella sua mente, dove tutte quelle idee prese dai libri continuavano a saltar fuori una dopo l’altra, ma senza dare una soluzione. Ad un certo punto, l’alba si affacciò alla finestra e i primi raggi di sole invasero la stanza.
“La luce, che bellezza!” pernsò Aghia; la luce aveva dissolto lo sconforto dato dall’oscurità. La luce era fonte di speranza, di vita, di verità. “Sì, questa deve essere la soluzione al problema: la luce!” Illuminata da questa idea, la nostra fatina andò subito dalla Regina ad informarla.

La Regina delle Fate si chiamava Sahasrara (che vuol dire mille). Sapeva gestire il Regno con grande maestria e saggezza e tutti le volevano bene. Era come una grande madre per loro, era la più anziana di tutte, ma non si sarebbe mai detto che fosse così grande, perché le fatine sanno come mantenersi sempre giovani e belle.
Come le sei fatine incaricate della importante missione giunsero a corte, tutti erano curiosi di sapere cosa avevano scoperto e se fossero riuscite a salvare il Fiore Fatato.
La Regina Sahasrara riunì le sei fate nella sala dove veniva custodito il Fiore dai Mille Colori. Ognuna espose la sua idea. Muladara parlò della semplicità e della purezza, Svadistana dell’ingegno, Nabi della cura, Anahata della tenacia, Visciuddi della musica e Aghia della luce. Ognuna di loro, naturalmente, credeva di avere l’idea giusta e faceva di tutto per convincere la Regina di avere ragione. Cominciò quindi una discussione che sembrava non finire mai.

La Regina però non diceva niente, rimaneva in silenzio. Guardava il Fiore e guardava le fatine. Più le fatine discutevano e più il Fiore si intristiva; quando le fatine sembravano d’accordo su qualcosa, il Fiore sembrava più contento. E allora capì: tutte le soluzioni erano giuste, ma solo se realizzate tutte insieme. Il Fiore stava perdendo le sue forze perché era malato, ma poteva riprenderle grazie all’aiuto delle fatine: le loro intuzioni e il loro amore messi insieme sarebbero state la cura.
Così le fatine, tutte insieme, sotto la guida della Regina Sahasrara, si misero in azione per aiutare il Fiore dai Mille Colori.
Con l’ingegno trovarono un sistema per rinforzare la pianta; poi la esposero meglio alla luce;  chiamarono le fate musiciste perché nella sala ci fosse sempre della buona musica; con semplicità e amorevolezza si presero cura di ogni petalo, di ogni foglia affinché riprendessero forma.
Tutta l’energia d’amore che le fatine avevano donato al Fiore Fatato, gli permisero di guarire e di tornare ad emanare il suo Potere d’Amore al mondo; e fu così che la Felicità ritornò a regnare.
Ma viene il sospetto che probabilmente, in verità, quel potere non se ne fosse mai andato, che fosse sempre stato nel cuore delle fatine e che il Fiore Fatato sembrava quasi che si fosse ammalato apposta per farglielo scoprire… questo rimarrà per sempre un mistero.


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